Intervista a Marta Giacomoni

Per offrirvi un approfondimento sulle origini dell’associazione e sulla nostra percezione dei concetti di inclusività e accessibilità, proponiamo questa intervista a Marta Giacomoni, fondatrice e presidente de La Girobussola. L’intervista è stata realizzata nel 2022 da Martina Gambini – attualmente segretaria dell’associazione – come parte del suo progetto di tesi.

M: Buongiorno Marta e grazie per aver accettato di prendere parte a questa intervista. Iniziamo subito: come nasce La Girobussola APS? Di che cosa si occupa? Che cosa ti ha spinto ad intraprendere questa avventura?

M: Dobbiamo fare un salto temporale importante dato che la fondazione dell’associazione risale a dieci anni fa quando il contesto sociale e storico non era favorevole ed ancora consapevole, sulle tematiche che ad oggi – per fortuna – sono entrate a far parte del nostro quotidiano come l’accessibilità, l’inclusione e il diritto alla conoscenza pensato per tutti, e quindi anche per le persone con disabilità. Dieci anni fa mi sono ritrovata in una grande ricerca di senso legata ad un percorso universitario che non mi ha portato ad essere soddisfatta di quello che avrei fatto professionalmente; complice qualche incontro fortuito e un’occasione di relazionarmi con Bologna da un punto di vista della mediazione del turismo accessibile, è nata l’associazione La Girobussola APS. L’associazione opera nel campo dell’accessibilità culturale per persone con disabilità visiva e i suoi interventi hanno portato alla creazione di itinerari, viaggi inclusivi ed accessibili, in decine di destinazioni, in Italia, in Europa e nel mondo. Alla progettazione turistica, è affiancato l’impegno costante nell’ideazione di percorsi multisensoriali in musei e zone archeologiche – anche attraverso la produzione di materiale a rilievo – e di corsi di formazione rivolti ad esercenti e operatori locali, per garantire un’appropriazione di tecniche e strumenti che permetta uno sviluppo autonomo e virtuoso. Infine, La Girobussola, si occupa di rendere accessibili anche gli eventi culturali live, quali performance, spettacoli e concerti, aperti a tutta la cittadinanza, senza tralasciare l’organizzazione di eventi di sensibilizzazione. E’ nato tutto da un bisogno di evoluzione professionale e personale; sono incorsi degli eventi che hanno spinto me e la prima collega che ho avuto nel realizzare il primo tour pensato per essere godibile dalle persone con disabilità visiva a Bologna ed avendo riscontrato molto successo in tale occasione abbiamo pensato di replicarlo all’interno di una formula più strutturata come quella di un’associazione.

M: Parlando di accessibilità culturale applicata a contesti di trasmissione e condivisione del patrimonio storico-artistico materiale e immateriale, quanto è importante la relazione e la conoscenza dell’altro nel momento in cui si svolge la mediazione?

M: Domanda molto interessante: vorrei partire dicendoti che la relazione è fondamentale, la conoscenza meno. La relazione per me è tutto ciò che succede anche nel momento in cui ci si prepara all’incontro, tutto quel sistema di energie sottili e consapevolezze prossemiche che si intuisce nell’esserci. La conoscenza invece non sempre è quel qualcosa che si ha la possibilità di avere, nel momento in cui si organizza un evento inclusivo o, ad esempio, in un viaggio. Per quello che fa La Girobussola il momento della relazione è un elemento fondamentale, per questo anche gli accompagnatori hanno un peso specifico in termini di progettazione, comunicazione e organizzazione; per poter svolgere un ruolo fatto anche di “inaspettati” è necessario avere con sé una cassetta degli attrezzi molto ben fornita. La Girobussola, muovendosi orizzontalmente, coprendo una grande varietà di esperienze ed ambiti deve necessariamente avere un metodo flessibile e fatto, appunto, di relazione.

M: Una delle prime attività dell’associazione sono stati i viaggi, itinerari inclusivi ed accessibili in Italia e in tutto il mondo (dal Guatemala, all’Islanda, Messico e molte altre ancora). L’associazione sposa la modalità di visitare i luoghi, entrare in contatto con le realtà e conoscere le persone del territorio inseribile all’interno del circuito del turismo lento. Quanto è stata fondamentale, in quelle occasioni così come lo è ogni giorno nelle azioni che svolgete quotidianamente con l’associazione, la presenza di un mediatore che facilitasse la connessione ed aiutasse l’incontro tra le persone?

M: Dal nostro punto di vista l’importanza di una formazione come mediatori è fondamentale, non solo per l’individuazione di una metodologia che sia flessibile e capace di adattarsi alle esigenze e ai bisogni delle persone, ma anche perché risulta essere necessaria nei momenti in cui si decide di sperimentare in luoghi di non sempre semplice accesso. Ad esempio, se decidessimo di accompagnare le nostre socie e i nostri soci solamente in luoghi accessibilizzati da percorsi tattili, il ventaglio di possibilità sarebbe stato davvero riduttivo. Il viaggio e l’incontro in generale sono esperienze di arricchimento a due direzioni: non solo per viene accolto, ma anche per chi accoglie. In un viaggio in Messico, è stato interessante individuare come l’accessibilità sia uno spazio dell’incontro con l’altro piuttosto che un luogo facilitato e attrezzato con una soluzione accessibile; può essere molto più significativo passare una notte ospitati all’interno della comunità Maya e imparare a preparare le tortillas con la Matriarca piuttosto che farsi raccontare l’esperienza all’interno di un laboratorio predisposto all’interno di un grande museo. L’accessibilità non è fatta solo da strumenti, ma da emozioni.

M: Si potrebbe dire quindi che l’accessibilità, in parte, viene realizzata dalle persone?

M: Vorrei risponderti riportando un’esperienza che ha caratterizzato uno dei viaggi realizzati in Portogallo. All’interno della nostra proposta avevamo inserito la visita alle impronte di dinosauro presso il Monumento Natural das Pegadas de Dinossáurio. L’esperienza tattile di un’attività di questo tipo è sostanzialmente simile a quella di mettere le mani all’interno di una buca per terra. La differenza viene prodotta dall’aspetto emotivo dell’azione; nell’essere presente attraverso il contatto con la mano – molto intimo e personale – con un qualcosa di così antico e prezioso. L’emozione, affinché risulti essere efficace e arricchente per l’esperienza che si sta vivendo, naturalmente deve essere coadiuvata dal racconto e dalle informazioni che contribuiscono a costruire, intorno al contesto o a quel determinato oggetto, un ambiente emotivo e informativo che permetta di accogliere l’esperienza ricevendo, non solo necessariamente elementi aptici ma anche emozionali.

M: Recentemente l’associazione ha iniziato a realizzare delle esperienze di viaggio per visitatori provenienti dal Regno Unito; come cambia, se cambia, la modalità di relazionarsi nel momento in cui ci si confronta con una mediazione in una lingua diversa dalla propria e con persone aventi un bagaglio culturale – per quanto simile dato che ancora inserito all’interno di un contesto di prossimità fisica – diverso da quello italiano? La mediazione cambia? Se sì, come?

M: Così come cambia da persona a persona, inevitabilmente l’interazione subisce modificazioni anche quando ci si confronta con visitatori provenienti da un’altra nazione. Ci sono sicuramente alcune sottili differenze che, per quanto io sia contraria alla generalizzazione, caratterizzano in parte la mediazione nel momento in cui la si realizza. Ciò che ho avuto modo di constatare in prima persona però è che quello che realmente cambia per il mediatore è soprattutto la quantità di energie che investe nell’utilizzare una lingua diversa dalla propria. Un ascolto attivo e un’interazione in una lingua straniera richiede un livello di concentrazione e applicazione maggiore. Una cosa che vorrei sottolineare però è che trattandosi di viaggiatrici e viaggiatori dal Regno Unito, esiste ancora quel bagaglio di saperi, termini e conoscenze condiviso che permette alla relazione di essere molto naturale e quasi immediata, senza dover dedicare del tempo a spiegare ad esempio chi sia il “prete” o che cosa sia il “presbiterio”.

M: Per concludere, abbiamo parlato principalmente delle caratteristiche della mediazione culturale realizzata dall’incontro con una o più persone fisiche nel momento in cui si entra in contatto con un patrimonio artistico-culturale. Nel mio elaborato di tesi ho voluto analizzare e paragonare la relazione che esiste tra il mediatore fisico e alcuni strumenti multimediali impiegati nella mediazione, identificandoli come possibili collaboratori e attori della stessa narrazione, non necessariamente in contemporanea. Qual è la tua posizione rispetto alla possibilità di una mediazione potenziata nel momento in cui gli strumenti multimediali concorrono alla conduzione?

M: Io sono assolutamente favorevole all’uso integrato delle tecnologie; all’intero dell’associazione lo facciamo già da tempo attraverso una modalità semplice ed economica utilizzando dei qr code o degli NFC che permettono di aprire delle scatole multimediali rendendo il nostro supporto tattile, mappa tattile o modellino collocato in un museo, una porta di accesso su tante informazioni aggiuntive e potenzialmente multisensoriali. Un QR code applicato su un modello stampato 3D può non solo aprire un testo in cui viene raccontato l’oggetto riprodotto, ma anche un video sottotitolato o con interpretazione lis e audiodescrizione o altri materiali interattivi che possano richiedere un’interazione attiva con il fruitore.

M: Grazie mille per la disponibilità e per il tempo dedicato a questa intervista.

M: Grazie a te per aver creato questo momento di confronto e condivisione.