Kainua – Una città etrusca

La mappa rappresenta la pianta della città etrusca di Kainua con le due necropoli e l’acropoli.

Segni convenzionali

Linee larghe – le strade principali dette plateie;
quadratini rigati all’estremità delle plateie – le porte della città o termine degli scavi;
linee sottili – strade secondarie dette Stenopoi;
aree punteggiate – necropoli;
quadrato pieno – il tempio di Tinia;
aree righettate – la grande fornace, la fonderia;
quadrati vuoti con pallino – case officina o case-bottega;
rettangolino con pallino al centro – santuario fontile, nell’area sacra posta a nord-est;
rettangolini rigati – templi dell’acropoli;
crocetta – ingresso monumentale.

Cosa sappiamo di Kainua

Kàinua è un’antica città etrusca che sorgeva presso l’attuale comune di Marzabotto, nella città metropolitana di Bologna. Fondata nel quinto secolo a.C. a poca distanza dal fiume Reno, Kainua fu una delle città-Stato più importanti dell’Etruria padana, assieme a Felsina (Bologna) e Spina, nonché un importante snodo commerciale tra l’Etruria tirrenica e la Pianura Padana, fino ad oltralpe.

Il sito – seppur andato in parte perduto a causa dell’erosione della marna dovuta al fiume Reno, che sgretolò la parte più a sud del pianoro su cui era fondata la città provocandone il crollo – rimane unico nel suo genere poiché ha perfettamente conservato le tracce della sua planimetria. Esso si presenta caratterizzato da un impianto urbano ortogonale ed è costituito per lo più da numerose case-bottega, un’acropoli, due necropoli e diverse aree sacre.

Della maggior parte degli edifici sono rimaste le sole fondazioni, a causa dei lavori agricoli che si sono succeduti nel corso dei secoli e che hanno ridotto l’alzato degli edifici.

Gli etruschi erano presenti nella Valle Padana fin dal nono secolo a.C. Nel sesto secolo a.C. però una nuova espansione li spinse di nuovo in Valle Padana sia con la fondazione di centri nuovi, sia ampliando antichi insediamenti etruschi di epoca villanoviana. È a questo periodo che viene fatta risalire la fondazione della città di Kainua.

Il nome Kàinua è dovuto al rinvenimento di due ciotole rituali in bucchero nei pressi del tempio di Tinia e riportanti l’iscrizione che tradotta significa “io [sono] a Kainua”. Questo ha portato gli archeologi a riconoscere con certezza in Kainua il vero nome della città, il cui significato potrebbe essere “città nuova”. Badate che i toponimi diffusi in Etruria Padana hanno spesso la desinenza -ua: Mantua (Mantova), Genua (Genova), Addua (Adda), Padua (Padova) e Berua (Vicenza).

La città, che si estendeva su una superficie di 180.000 mq, comprendeva case-bottega, un’acropoli, diversi santuari e luoghi di culto, almeno due necropoli, acquedotti, sistemi fognari e una grande fornace, oltre alla fonderia preesistente.

Sul finire del quarto secolo a.C., i Galli venuti dal nord la conquistarono e ne fecero un presidio militare per controllare l’intera Valle del Reno.

L’occupazione celtica provocò una fuga generale degli Etruschi verso le città costiere, mentre coloro che rimasero furono coinvolti in un tentativo di fusione tra le due culture (attestato da tombe i cui corredi funebri presentano elementi riguardanti entrambe le civiltà).

Nel secondo secolo a.C., quando l’Etruria padana passò sotto il dominio romano, si verificò una romanizzazione generale dei territori. Tuttavia, il processo riguardò solo marginalmente Kainua perché la strada che collegava Roma all’Etruria padana si trovava molto più ad est della città, risparmiandola così dalla diretta occupazione dei nuovi conquistatori, concentratisi prevalentemente nella città di Bononia. La presenza romana nell’antica città è testimoniata solo dai resti di una villa romana di stampo rustico, cioè una fattoria.

I primi reperti vennero alla luce nel 1839. Si scavò poi a fasi alterne fino ad oggi. Il 4 novembre 1979 venne inaugurato l’attuale Museo Nazionale Etrusco “Pompeo Aria”. Dal 1988 ad oggi proseguono le campagne di scavo nel pianoro di Misano, sotto la direzione del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna e della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.

Esploriamo la città

Disponete la mappa in verticale, con la scritta in basso. Avrete così il nord in alto. Procedendo in quella direzione arrivereste a Bologna: qui vicino passa la via Porrettana che vi ci porta. Procedendo in direzione contraria, seguendo la stessa strada, attraversate l’Appennino e arrivate nella provincia di Pistoia, cioè in Toscana. Se invece andate verso sinistra, cioè ad ovest, prima o poi arrivate nella provincia di Modena, mentre andando verso est  vi avvicinate alla riviera adriatica e alla Romagna.

Ad una prima esplorazione anche a due mani vi sarà evidente che la parte centrale della mappa è occupata da forme regolari, con segni diritti e ad angolo retto. Infatti Kainua rimane a tutt’oggi l’unica città etrusca con una planimetria regolare studiata preventivamente e basata su un preciso progetto teorico: quindi possiamo ipotizzare anche la pianta  della città a sud che il Reno si è mangiata. La nostra mappa però rappresenta solo quello che c’è, e che è stato portato alla luce dagli scavi.

La città è situata su un pianoro che declina a sud verso il fiume Reno, delimitata da un ingresso monumentale ad est e priva di mura, ma dotata di un terrapieno con fossato che circondava l’abitato.

Osservate ora le strisce larghe dette plateie. Sono quattro strade principali ortogonali, orientate secondo i punti cardinali. Erano larghe quindici metri con cinque metri di carreggiata e cinque metri per lato di marciapiede. Di esse, una (la plateia A) attraversa l’abitato in senso nord-sud (equivalente al cardo romano) e tre invece (plateie B, C, D in ordine da nord a sud) la attraversano da est-ovest, come il decumano, ortogonali all’asse nord-sud. All’estremità della plateia D, cioè quella più meridionale, trovate una crocetta che indica l’ingresso monumentale.

Queste quattro strade dividevano l’abitato in otto aree: quattro ad est e quattro ad ovest. Nella mappa ne trovate meno a causa dell’erosione e degli scavi ancora in corso. Le otto aree quadrangolari e regolari sono dette “regioni”, e ognuna di esse faceva riferimento ad una corrispondente area del cielo dedicata a specifici dèi.

Una serie di strade secondarie larghe cinque metri e dette stenopoi in greco, parallele al cardo, ma poste a distanze irregolari tra loro, suddividono ulteriormente le regioni in isolati dalla forma stretta ed allungata. Ne trovate in maggior numero ad est del cardo.

Il fondo stradale era costituito per lo più da ciottoli di fiume, mentre in alcuni punti grosse pietre venivano disposte trasversalmente per favorire l’attraversamento pedonale. I marciapiedi erano cosparsi di ghiaia ed erano separati dalla carreggiata centrale grazie ad una fila di ciottoli disposti per tutta la lunghezza della strada e probabilmente coperti da una tettoia (una sorta di porticato) inclinata verso la strada, sotto la quale i bottegai esponevano i propri manufatti.

Se a sud il Reno ha eroso parte della città, a nord l’estensione va ben oltre i confini attualmente conosciuti, ma quei territori non possono essere esplorati né oggetto di scavi archeologici, poiché a tutt’oggi sono di proprietà privata della famiglia Aria.

Oltre alle strade interne sono state trovate tracce di due strade extraurbane: una a nord-est dell’abitato (ne trovate un tratto ad L, ad angolo retto verso l’angolo superiore destro), per il collegamento con Felsina, mentre l’altra a sud-est, non riportata, collegava Kainua con l’Etruria tirrenica.

Nei pressi della strada ad angolo retto a nord-est la mappa riporta un rettangolino con pallino al centro: sono le rovine del santuario fontile. L’edificio misura 9 metri per 7,50 e sorge nei pressi di una sorgente naturale probabilmente d’acqua calda. Era dedicato al culto delle acque curative, così come testimonia l’esistenza al centro dell’edificio di una vasca rettangolare per la raccolta delle acque con relativo pozzo di decantazione. L’acqua della sorgente veniva fatta confluire nella vasca, per poi farla defluire verso nord attraverso un canale di scarico costituito da ciottoli di fiume ed elementi in travertino.

Ai lati delle strade principali c’erano le canalette di scolo della larghezza di 50 centimetri, per la raccolta e lo smaltimento delle acque piovane e delle acque di scarico delle abitazioni. Le canalette erano delimitate da muretti in ciottoli a secco, di cui uno adiacente alla strada e l’altro alle abitazioni. Il fondo del canale di scolo era costituito da ciottoli di fiume o da terra pressata e ciottoli  piatti lo coprivano. Lo smaltimento delle acque veniva garantito dalle pendenze naturali del territorio, che le convogliava infine nel Reno.

Il settore residenziale delle abitazioni era spesso munito di un pozzo posto nell’area cortilizia usato per il fabbisogno idrico personale di ogni unità abitativa, ma probabilmente c’erano anche pozzi pubblici. Se i pozzi fornivano l’acqua sufficiente per una famiglia, lo stesso quantitativo non era abbastanza per le attività artigianali, specialmente per la lavorazione dell’argilla. Per questo motivo vennero costruiti dei veri e propri impianti idrici (acquedotti), come quello trovato ai piedi dell’acropoli. Le condutture dell’acquedotto hanno una forma parallelepipeda all’esterno e circolare all’interno (dove scorreva l’acqua) con un diametro di 14 centimetri.

Le case erano ad un solo piano, ma disponevano di molteplici ambienti sviluppati in larghezza e alcune di esse vantavano una superficie che andava dai 609 agli 805 mq. Vengono comunemente definite case-bottega o case-officina (nella mappa sono i quadratini con pallino al centro).

Erano divise in due aree: l’area produttiva più vicina alla strada, e l’area residenziale più interna. L’entrata, probabilmente porticata, dava su un corridoio che percorreva la casa per tutta la sua lunghezza e portava ad un cortile cruciforme porticato a cielo aperto. Dal cortile si aveva l’accesso ai diversi ambienti, mentre all’interno del cortile, in posizione decentrata (e più precisamente in corrispondenza di una falda spiovente del tetto o  “compluvio”), era spesso presente un pozzo per il rifornimento idrico.

Tutte le case erano adiacenti le une alle altre, ma senza avere muri in comune; una canaletta di scolo posta fra un’abitazione e l’altra, infatti, fungeva da confine di proprietà.

Nel centro della città sorgeva una fonderia, adibita alla lavorazione del ferro e alla fusione del bronzo. La trovate seguendo il cardo da sud verso nord sulla destra tra la plateia C e la D. È un rettangolo rigato.

L’attività prevalente era la lavorazione del bronzo per la produzione di oggetti come vasellame, fibule, statue votive ed ex-voto (sono state rinvenute infatti forme di parti anatomiche quali braccia, piedi e gambe). Poiché non ci sono giacimenti minerari nella zona, è da ipotizzare un’importazione dei minerali necessari (soprattutto stagno e rame) dall’Etruria tirrenica, prevalentemente dall’isola d’Elba e dalle colline metallifere dell’alto Lazio.

Nonostante l’assenza di giacimenti minerari Kainua era considerato come uno dei principali centri per la trasformazione dei minerali in metalli, grazie alla presenza sul territorio di grandi quantità di acqua e di alberi che fornivano il legno necessario per la lavorazione.

Proseguite lungo il cardo ancora verso nord e all’incrocio tra questo e la plateia B, sulla destra, trovate un quadrato con pallino al centro: è il tempio di Tinia, corrispondente al Giove latino, massima divinità etrusca. È l’unico tempio  presente nell’abitato e non nell’acropoli. Vantava notevoli dimensioni: 35,50 metri di lunghezza per 21,75 metri di larghezza e, essendo posto nella parte più a nord dell’abitato, era la prima struttura imponente della città a cui ci si trovava di fronte se si proveniva dalla vicina Felsina.

Aveva un doppio ingresso (uno in corrispondenza della plateia B e l’altra in prossimità dello stenopos, ovvero la strada secondaria ad est). Vi si aveva accesso grazie ad una imponente scalinata frontale, e al pronao, cioè lo spazio davanti alla cella del tempio preceduto da colonne. Il colonnato circondava interamente l’edificio. L’interno del tempio era costituito da un’unica cella centrale munita di divisoria e bipartita nella parte retrostante.

Di fronte al tempio di Tinia, proprio dall’altra parte del cardo, il rettangolo rigato indica invece la posizione della grande fornace composta da tre aree: l’area di lavorazione dell’argilla, l’area destinata all’essiccazione dei prodotti in attesa della cottura (a cielo aperto, ma protetta da una tettoia) e l’area occupata dai forni veri e propri. Inoltre, a cottura ultimata i prodotti molto probabilmente venivano esposti sotto la stessa tettoia (già usata per l’essiccazione), pronti per la vendita.

Proseguendo, il cardo ci avvicina alla necropoli nord.

L’acropoli si trova a nord-ovest della città, su un pianoro posto a 15 metri circa di dislivello sopra l’abitato e modificato dagli Etruschi nel VI secolo a.C. in modo da ricavarne due terrazzi naturali sui quali furono distribuiti gli edifici sacri, la maggior parte dei quali orientati verso sud, ovvero verso la città. L’acropoli era collegata all’abitato tramite la plateia B (oggi solo parzialmente scavata e che quindi s’interrompe nella mappa prima di arrivarci), che in quel punto avrebbe assunto una decisa pendenza per coprire il dislivello e raggiungere le pendici dell’acropoli stessa.

Delle costruzioni originarie rimangono per lo più solo le fondazioni in ciottoli a secco, dei resti di porticati e alcuni altari. Nella mappa potete individuare nell’agglomerato a nord-ovest tre rettangolini rigati all’interno che indicano la posizione di tre templi, denominati semplicemente edificio A, B e C perché non si sa a che dio siano stati dedicati, benché questa regione della città fosse dedicata agli dèi infernali.

Completano il sito due necropoli, di cui una a nord e l’altra a sud-est della città, fuori dalle porte urbane. Chi arrivava a Kainua, prima di entrare nella città dei vivi, rendeva omaggio a quella dei morti. Infatti attraverso la necropoli sud-est  passava la strada per la Toscana, attraverso la necropoli nord passava quella per Felsina.

Trovate quella a nord seguendo il cardo verso l’alto. Trovate quella ad est, invece, uscendo dal decumano più a sud (la plateia D) e dall’ingresso monumentale ad est contrassegnato da una crocetta.

Il rito di fondazione della città

Troverete in questa parte diversi termini latini, perché i Romani mutuarono dagli etruschi, tra le molte altre cose, anche la procedura per la fondazione delle città.

Il rito di fondazione di una città etrusca, secondo quanto previsto dai Libri Rituali, si fonda sulla proiezione degli assi della volta celeste (templum celeste) sul luogo dove sarebbe nata la città, rendendola – in questo modo – un’area sacra.

Secondo gli Etruschi la volta celeste si presenta attraversata da due rette perpendicolari (il cui incrocio era chiamato croce sacrale): l’asse nord-sud e l’asse est-ovest, che la dividono in quattro principali settori.

Per proiettare le due rette perpendicolari sul terreno il sacerdote etrusco preposto al rito si basava sui punti di levata e di tramonto del sole sull’orizzonte in due particolari periodi dell’anno: il solstizio d’estate e il solstizio d’inverno, ovvero i momenti in cui il sole – sorgendo dal mondo degli inferi all’alba e ritornandovi al tramonto – sembrava toccare l’orizzonte terrestre, unendo idealmente i tre mondi (Cielo, Terra e Inferi) e rendendo l’attimo propizio per trarre gli auspici.

La prima fase (detta auguratio in latino) individuava gli assi spaziali di orientazione del templum celeste: da un punto d’osservazione (auguraculum) situato in posizione elevata, così da dominare l’orizzonte e il luogo su cui doveva essere fondata la città, il sacerdote delimitava una porzione di cielo, la consacrava a templum e vi scrutava eventuali segni mandati dagli dei (interpretando, ad esempio, il volo degli uccelli).

La seconda fase prevedeva la spectio, ovvero la proiezione degli assi cardinali del templum celeste sul punto terreno dove sarebbe sorta la città (templum in terris); in particolare il sacerdote osservava il punto sull’orizzonte da cui sorgeva il sole e quello in cui tramontava in due specifici giorni dell’anno: il 21 dicembre e il 21 giugno ovvero, come già detto, nei due solstizi. I quattro punti individuati di levata e tramonto del sole venivano proiettati sul terreno e costituivano gli estremi delle due diagonali (di cui una avente un estremo nel punto di tramonto al solstizio d’estate e l’altro estremo nel punto di levata al solstizio d’inverno, mentre per l’altra diagonale era l’opposto), il cui punto d’incrocio avrebbe identificato il centro della croce sacrale e, quindi, il centro della futura città.

In corrispondenza di quel punto il sacerdote scavava una fossa (umbiliculus) e vi interrava il cippo con un’incisione a croce, i cui bracci erano orientati secondo gli assi cardinali). Questo “pozzo sacro” avrebbe costituito il punto di comunicazione tra il Cielo, la Terra e gli Inferi, tenendo allo stesso tempo i tre mondi separati.

Sul terreno venivano quindi interrati con particolari riti dei cippi di delimitazione in corrispondenza degli estremi dei quattro assi principali (limitatio), tutti perfettamente allineati con il cippo centrale.

L’ultima fase, infine, prevedeva il tracciamento dei due assi ortogonali principali e, quindi, dell’intero reticolato viario, partendo dal punto appena individuato del centro cittadino. Il rito di fondazione prevedeva, poi, l’uso dell’aratro per tracciare il perimetro delle mura, avendo cura di sollevare l’aratro in corrispondenza delle porte e prestando attenzione affinché le zolle di terra sollevate ricadessero all’interno del perimetro. Infine, adiacente al perimetro veniva sancito il pomerium, uno spazio all’interno e all’esterno delle mura che non poteva essere né edificato né utilizzato per alcuno scopo.

Il cippo con la croce orientata verso gli assi cardinali fu ritrovato nel 1963 a Kainua in corrispondenza dell’incrocio fra il cardo (plateia A) e l’asse trasversale centrale (plateia C).

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